Scrittrice giapponese di successo: ” Con gli immigrati ci vuole l’apartheid”

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Ha le idee molto chiare sul modello che si dovrebbe adottare per gestire l’immigrazione: apartheid. Lei è Ayako Sono, una delle più importanti scrittrici del ‘Sol Levante’ dell’ultimo secolo, da sempre molto vicina all’attuale premier, Shinzo Abe.

Intervenuta su un noto quotidiano del paese ( con in media oltre 1 milione e mezzo di lettori), la scrittrice ha espresso la sua visione su come dovrebbe porsi il Giappone in caso consenta un maggiore afflusso di immigrati. E lo ha fatto in un articolo che non lascia adito a dubbi di interpretazione:” Lasciateli entrare, ma teneteli a distanza”, nel quale suggerisce il modello sudafricano come il modello da seguire per gestire l’immigrazione nel paese nipponico.

Il Giappone è una società fortemente omogenea, in cui la percentuale di immigrati non supera l’1,5%; e peraltro si tratta di coreani, o addirittura di giapponesi nati altrove: non proprio ‘gente di un altro mondo’.
Nonostante non possa godere delle ‘beatitudini’ di una società ‘multietnica’, è ancor oggi ( a differenza ad esempio dell’Italia) una potenza ai vertici mondiali, leader indiscusso in più settori industriali ( come l’elettronica), e decisamente all’avanguardia nella ricerca scientifica e tecnologica ( in cui investe, a differenza sempre dell’Italia). Un altro dei suoi record positivi è l’altissima aspettativa di vita ( la maggiore al mondo), che, come altra faccia della medaglia, sta rendendo sempre più sovrappopolato e anziano il paese.

E proprio questa forte età media della popolazione, un elemento che potrebbe far si che un’immigrazione lavorativma porti relativi vantaggi al sistema socio-economico.

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Ed è su questi temi che la scrittrice Sono è intervenuta, spiegando che l’eventuale apertura ad una seria “immigrazione del lavoro”, non deve indebolire l’identità del paese.
Nel corso del succitato editoriale, la Sono spiega che: ” Da quando mi sono interessata alla situazione del Sudafrica,da 20/30 anni, io sono convinta che sia meglio che le razze vivano separate, come accadeva in quel paese con europei, africani e asiatici.[…]Gli uomini possono fare molte cose insieme: lavorare, fare ricerca scientifica o sport. Ma per quanto riguarda vivere, è preferibile restare separati”.
E di certo, non pensava all’esodo biblico dal terzo mondo che l’Occidente è costretto a subire.

Come accennato in precedenza, Ayako Sono è da sempre molto ascoltata alla corte del premier Shinzo Abe, il leader del partito nazionalista che da quando il Giappone è diventato una democrazia parlamentare non ha governato per soli tre anni…segno anche questo che quella stessa sconfitta non ha certo scalfito del tutto l’anima nipponica.

Che un eventuale aumento di una seria “immigrazione da lavoro” non possa tradursi nello snaturamento dell’identità nazionale, è inoltre piuttosto assicurato dalle leggi di cittadinanza del paese, basate fortemente sullo ius sanguinis e che concedono la naturalizzazione soltanto rispettando severi criteri, tra cui la rinuncia alla cittadinanza precedente; perché in Giappone si ritiene assurdo avere due cittadinanze ( e non sbagliano, sarebbe come avere ‘due mamme’).

Si può biasimare il Giappone perché tiene alla propria identità?
Oggigiorno esistono milioni di persone al mondo attratte ( a volte patologicamente) dal “paese del sol Levante”; qualcuno crede forse che se d’improvviso la popolazione giapponese cambiasse anche solo aspetto, avrebbe ancora lo stesso fascino verso chi ne è vittima? Per i fan degli anime sarebbe la stessa cosa? Per gli ammiratori dei samurai, sarebbe la stessa cosa?
Anche l’Italia ha una sua intima e profonda natura, altrettanto peculiare e caratteristica rispetto a quella giapponese, e non deve perderla, non ha senso perderla per i ‘pruriti’ delle Boldrini e delle Blatte(r).