Padova: c’è un prete che fa del degrado un business e protegge i criminali

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PADOVA – Non scherza Bitonci, dopo i controlli direttamente alla stazione per impedire l’accesso in città ad accattoni, mendicanti e lavavetri, l’amministrazione comunale alza il tiro. Non si limita a colpire l’ultimo anello della catena ma questa volta scende al nocciolo della questione. Punta alle radici del business dell’accoglienza.

Inutile perseguire il crimine se prima non elimini il mandante.

E così l’amministrazione prende di mira colui che del degrado cittadino è storicamente il simbolo: don Albino Bizzotto. Il prete hippy.

«Deve decidere se stare dalla parte dei cittadini o se vuole una casbah», attacca l’assessore alla Sicurezza Maurizio Saia, e parla di tal don Albino Bizzotto, emblema del degrado padovano durante il regno di Zanonato.

«Se Padova diventa pulita e ordinata ma senza cuore verso chi sta peggio, allora Padova ha perso», vaneggia don Bizzotto, preoccupato di perdere la sua ragione sociale. Senza il degrado nel quale sguazza, cosa farebbe della sua esistenza da masochista che definisce gli altri ‘senza cuore’ solo perché non condividono la sua ossessione.

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«Vada a svolgere le sue attività altrove», dice l’assessore riferendosi al fondatore della famigerata associazione di volontariato “Beati i costruttori di pace”, nata a Padova nel 1985.

Un’associazione che da sempre predica dietro compenso il dis-valore dell’accoglienza e il ridicolo concetto d’integrazione.

E a dimostrazione di come questo ‘amore’ sia solo lo specchietto per le allodole di un enorme business, il fatto che lo scorso anno l’associazione abbia gestito oltre 132 mila euro.

«Tutti gli sbandati che la polizia locale ferma dicono agli agenti le stesse parole magiche: “chiamiamo don Albino Bizzotto”», spiega l’assessore Saia. «L’altro giorno un nonno vigile è stato aggredito da uno di questi personaggi che stava orinando in strada. Vorrei sapere di questo cosa dice don Albino, che oltretutto istiga alla disobbedienza. Ha detto che questi individui non devono pagare la multa se non c’è la petulanza. Ma questo non può deciderlo lui, lo decide la polizia locale. Lui deve rispettare le regole».

L’altro giorno, prosegue l’assessore, «I vigili volevano fermare dei lavavetri ma questi si sono rifugiati in casa di don Albino in via da Tempo. Lì dentro ci saranno state quaranta persone. Arrivati gli agenti, don Albino è uscito e in modo non collaborativo ha chiesto cosa volessero».

Ma c’è di più, il presunto prete vive in uno stabile del Comune, ex ufficio dell’anagrafe dove attualmente vivono anche due famiglie di zingari, che evidentemente forniscono al ‘prete’ qualcosa alla quale è molto interessato: «L’edificio era stato concesso ai “Beati i costruttori di pace” dalla giunta Zanonato», dice Saia. «Adesso ci vivono i nomadi. Nella stradina che porta alla casa c’è di tutto: camper parcheggiati, tavolini, sedie, sporcizia. Ci sono petizioni su petizioni di cittadini che vogliono sgomberare lo stabile causa furti e degrado. L’ impegno è quello di ridare lo spazio alla collettività. La mia proposta è di creare un centro culturale per anziani che in zona manca, ma per questo si valuterà con la giunta».

Per eliminare il degrado dalle città, è essenziale eliminare quelli che ne fanno un business. Queste associazioni che millantano un legame con il Cristianesimo, sono soltanto un’espressione di degrado morale: odiare se stessi è il più grave dei peccati contro natura.




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