Coppa del Mondo: il dominio dell’uomo bianco

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E’ una lettura dell’evento che non troverete da altre parti, perché ‘politicamente insensibile’, quindi molto interessante.

Jogadores da Alemanha erguem a taça e comemoram a conquista da Copa do Mundo com a vitória sobre a Argentina Foto: Guito Moreto / Guito Moreto

Il Mondiale brasiliano è finito, e possiamo tirare le somme. Viene descritto come ‘un grande mondiale’ per il numero record di goals segnati.

In realtà, è vero per la fase a gironi, dagli ottavi in poi, se si esclude la ‘stranezza’ Brasile, si è segnato molto poco, e c’è stato molto equilibrio: non perché il livello tecnico delle piccole si sia alzato, ma perché ormai la consapevolezza tattica si è diffusa anche nel ‘terzo mondo’ del calcio. Così, squadre come il Costa Rica, quando ci sono le gare ad eliminazione diretta, si chiudono in difesa e praticano il fuorigioco sperando nei rigori. Ergo, c’è più equilibrio, ma meno spettacolo, e solo per caso i ‘peggiori’ non vanno avanti.

Dal punto di vista geografico è stato il solito mondiale. Le squadre dell’Africa Nera sono mancate come sempre dal punto di vista della tecnica pura e dell’organizzazione, sia di gioco che fuori dal campo.

C’è stata la solita centronordamericana ai quarti, stavolta C.Rica in vece degli Usa, e poi è stato un discorso tra Europa e Sudamerica. Con buona pace del ‘globale’ Blatter, che in cambio di voti per mantenere la poltrona spinge per più posti ad asiatiche – che sono state penose – ed africane.

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Razzialmente, il calcio sta diventando sempre di più lo sport dei bianchi.
In finale, è dal 2006, anno nel quale l’Italia ha sconfitto una rappresentanza coloniale francese, che giocano formazioni per almeno 10/11 composte da giocatori europei. Germania e Argentina hanno confermato la regola. E tutto questo in un mondo nel quale i bianchi sono una minoranza sempre più ristretta.

Regola confermata anche nei premi per migliore portiere e miglior giocatore. Anche se, secondo noi, Messi non meritava, meritava Robben. O il capocannoniere James.

Il calcio conferma di essere un gioco più di uno sport. Mantiene una fondamentale dose di imprevedibilità. L’Argentina ha perso la partita che meglio ha giocato in tutto il mondiale, tradita dai suoi attaccanti, che, per una sera, sembravano tanti balotelli.
La Germania ha meritato nell’arco del torneo rispetto all’Argentina, che però meritava di vincere stasera. Del resto si sa, la Germania soffre terribilmente l’Italia, e c’era troppo ‘sangue italiano’ nelle vene dei giocatori avversari, stasera, per vincere facile, ma non ce n’era abbastanza per perdere.

Per molti, la componente più bella di questo mondiale sono stati i tifosi, per noi, sono stati l’esemplificazione della decadenza moderna, del trionfo dell’apparire sull’essere: tutti eccitati non appena li riprendevano. Subito pronti a fare ciao ciao con la manina. Penosi.

Più penosi del peggior Brasile della storia calcistica, che ha esorcizzato sul povero Fred tutte le sue frustrazione da sconfitta: ma l’avete visto il pachidermico Jo?

La realtà è che il calcio è sempre di più uno sport-gioco di collettivo. I solisti contano solo se inseriti in uno spartito e in un’organizzazione corale. Lo dimostrano le ultime tre squadre campioni del mondo: Italia, Spagna e Germania. Squadre praticamente omogenee tecnicamente ed etnicamente: che sia un possibile insegnamento per la società in generale?