Il filosofo de’ sinistra: “Chi crede in Dio è un essere inferiore”

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Flores d’Arcais: i credenti sono «civicamente minus habens», meglio isolarli dalla democrazia che «è atea»

È uscito in libreria “La democrazia ha bisogno di Dio” Falso!, il nuovo saggio di Paolo Flores d’Arcais, ateo militante e direttore di MicroMega, rivista della sinistra radicale e intransigente. Il libro fa parte della collana “Idòla” di Laterza, nella quale l’editore ha affidato a diversi autori il compito di demolire un’idea ciascuno (di qui anche lo schema seguito per la titolazione di tutti i pamphlet: un concetto seguito da “falso!”). Riportiamo di seguito qualche stralcio della recensione scritta da Marco Ventura per il Corriere della Sera.
«La democrazia è atea, imprescindibilmente». Paolo Flores d’Arcais pianta la sua tesi al centro del libro “La democrazia ha bisogno di Dio” Falso! (Laterza). La sbatte in faccia ai tanti per i quali, da Tocqueville in poi, la democrazia non sta in piedi senza Dio. La democrazia di Flores d’Arcais è il regno dell’autonomia e dell’autosufficienza dell’uomo. (…)
Ne discende l’incompatibilità con la democrazia di fonti d’ispirazione superiori, «dogmatica volontà irrelata», sovranità divina alternativa a quella umana. Se vuole stare nella dinamica democratica, non resta al credente che abbandonare ogni pretesa di dedurre norme direttamente o indirettamente dalla propria fede.
Dio può sopravvivere alla democrazia, secondo l’autore, solo accettando l’«esilio dorato nella sfera privata della coscienza» e ingiungendo ai suoi rappresentanti in terra di non interferire col governo repubblicano. Dio, infatti, non può che dividere la società e drammatizzare i conflitti; producendo una «ghettizzazione reciproca di stampo iper-feudale, cuius religio eius lex», oppure una «guerra civile di religione, per imporre come legge, erga omnes, la volontà del proprio Dio».
Giacché sempre di questo si tratta, scrive il filosofo: di ammantare della Maestà di Dio le proprie «ubbie, frustrazioni e altri spurghi dei fondali psichici».
I tentativi di sostenere il contrario, per Flores d’Arcais, sono fallaci; o peggio, pericolosi. Vengono dall’intransigenza cattolica di Wojtyla e Ratzinger, dal cripto islamismo di Tariq Ramadan; soprattutto, dai «democratici stanchi di lottare», come l’«agnostico» Habermas. L’ambizione di legittimare Dio nella sfera pubblica è invariabilmente, per l’autore, «mero revival di tradizionalismo teocratico». (…)
Nella logica repubblicana, il credente è «civicamente minus habens perché incapace di interiorizzare autonomamente la scelta pro-democrazia e in grado di riconoscerla solo affidandosi» all’autorità religiosa di riferimento. Se vuole integrarsi nel sistema democratico, egli deve pertanto appendere Dio all’attaccapanni, come fa lo scienziato prima di entrare in laboratorio: uscendo così dalla propria «condizione permanente di minorità». (…)
Flores d’Arcais afferma invece che la sua è «una ideologia» sopra le parti, che «fa corpo unico con la democrazia», un «habitus psicologico e morale» che non ha pretesa di universalità, agli antipodi delle tante divinità che soggiogano l’uomo.

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Ovviamente, potremmo polemizzare, come fanno loro quando indichiamo alcune popolazioni come meno capaci di altre, sul ‘razzismo’, ma non ci interessa. Molto più interessante analizzare alcune contraddizioni nel pensiero del filosofo. Perché senza rendersene conto, Flores, concorda con noi sull’impossibilità di avere una società che sia, al tempo stesso, multiculturale e democratica.

Perché in realtà qui non si sta parlando tanto di Dio in senso fideistico, quanto nel senso di una comune percezione del mondo e delle regole, di una comunità che abbia una comune visione della società e del proprio essere nella realtà. In questo senso, al contrario di quello che dice Flores, l’unità d’intenti che lui chiama ‘Dio’, è elemento imprescindibile di una democrazia compiuta. E qui cade l’asino multietnico. Inconsapevolmente Flores ammette come democrazia e società multiculturale siano tra loro antitetiche e non componibili. Lui parla di ‘fedi’ diverse. E la sua soluzione a questo è ‘spogliare’ gli individui della loro identità. In questo Flores è il prototipo del fanatico giacobino che trova nella società orwelliana il proprio riferimento culturale: le identità, in una società non omogenea collidono, quindi devono essere eliminate. La democrazia di Flores somiglia molto ad un grande e desolato cimitero.